Interviste

Verso la riforma dell'ordinamento portuale italiano

Il futuro dei porti parla spagnolo?

di Redazione Port News

Il modello di governance spagnolo è l’assetto istituzionale cui il Governo italiano vuole ispirarsi per portare avanti il processo di riforma dell’ordinamento portuale italiano. La notizia l’ha data ieri il vice ministro alle infrastrutture e ai trasporti, Edoardo Rixi, durante il convegno sulla portualità nazionale organizzato da Assiterminal a Roma.

Come noto, la governance del sistema portuale iberico vede coinvolti più livelli istituzionali: prima di tutto Puertos del Estado, ente di diritto pubblico dipendente dal Ministerio de Fomento, dotato di personalità giuridica, di patrimonio proprio e di capacità operativa autonoma, al quale spetta l’esecuzione delle linee generali di politica portuale delineate dal Ministerio de Fomento.

E poi ci sono le singole Autorità Portuali, dotate anch’esse di personalità giuridica propria, patrimonio indipendente dal patrimonio dello Stato, e di piena capacità operativa, cui compete – in linea generale – la gestione dei porti loro assegnati.

“Il modello binario Puertos del Estado/Autorità Portuali non rappresenterebbe sicuramente una rivoluzione per il Paese” afferma a Port News l’avvocato marittimista Davide Maresca “ma potrebbe garantire al nostro Sistema una maggiore flessibilità operativa e, soprattutto, una maggiore uniformità di vedute su molti temi”.

Maresca lo dice sottolineando come i porti abbiano in Italia regolamenti differenti, e non sempre omogenei, su una serie innumerevole di materie: dai criteri di calcolo dei canoni demaniali alle concessioni, dai servizi di manovra e promozione del traffico ferroviario alla limitazione del numero massimo di imprese autorizzate allo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali.

“Chi vive i porti si rende conto di come i nostri Sistemi portuali siano ad oggi poco uniformi e coerenti” afferma l’avvocato marittimista. Da questo punto di vista, “l’accentramento dei poteri di coordinamento e controllo in mano a un soggetto forte, un’agenzia portuale nazionale, dotata di propria autonomia, contribuirebbe sicuramente a mettere ordine in un ambito tanto confuso” aggiunge.

“Se poi a questa Agenzia venissero anche affidati i dossier europei sugli aiuti di Stato, sulla concorrenza e sul mercato interno, allora sì che ci troveremmo di fronte a un cambiamento epocale”. Quello dei rapporti con la Commissione Europea rimane per Maresca un problema centrale nella nostra politica estera. “Lo abbiamo visto sulla questione della tassazione dei porti, lo stiamo vedendo oggi sul tema del rilascio delle concessioni. Una maggiore flessibilità nei rapporti con la Commissione potrebbe insomma permetterci di superare la fase di incomprensioni e spaccature che in questi anni ci ha penalizzato”.

Quanto alle Autorità Portuali, sebbene non emergano attualmente indicazioni concrete circa la forma giuridica che potrebbero avere (ente pubblico economico, spa, mantenimento dell’attuale forma di ente pubblico non economico?), Maresca auspica che possano finalmente acquisire quell’agibilità operativa e, soprattutto, finanziaria che hanno perso quando sono state inserite nel bilancio consolidato dello Stato (con l’allora Ministro Tremonti).

“In fondo, questa sì che sarebbe una vera rivoluzione. Se gli avanzi di amministrazione di ogni singola port authority non finissero più nel bilancio dello Stato, le nostre AdSP potrebbero acquisire una natura marcatamente più commerciale e operare liberamente scelte strategiche nell’interesse della collettività portuale”.

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